Come si diventa insegnanti di scrittura?

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Nel 2008 avevo 23 anni e frequentavo ogni buon corso di scrittura che mi capitava a tiro. Già da un anno lavoravo nell’editoria, a un corso per redattori editoriali erano seguiti un paio di stage in casa editrice. In queste case editrici romane, piccole ma “di qualità” come si suol dire, facevo veramente di tutto. Scremavo i manoscritti che arrivavano, smistavo la corrispondenza, correggevo bozze, impaginavo libri, scrivevo prefazioni che firmavano altri. 

Mi ero messa in testa, insomma, che volevo lavorare nell’editoria e che, più precisamente, volevo essere una editor (nell’accezione tutta italiana non di direttore di collana, ma di colui che lavora strettamente a contatto con l’autore nella revisione del testo). 

Avevo anche scoperto che esistono manuali per praticamente ogni aspetto del lavoro editoriale: c’erano (e ci sono ancora) manuali sulla correzione di bozze, la redazione, l’impaginazione, l’ufficio stampa, il commerciale, ecc; ma non c’erano (e non ci sono ancora, almeno a quanto mi risulta) manuali sull’editing, ovvero su come si lavora in modo importante ai libri degli altri. Quindi iniziai a leggere manuali di scrittura creativa e a seguire corsi di scrittura creativa proprio per colmare questa lacuna e per imparare a fare editing.

 

Capitai così – un po’ per caso, un po’ perché ero una forte lettrice minimum fax e un po’ perché allora avevo soldi da parte che potevo spendere – al corso di scrittura creativa che Carola Susani teneva (e tiene tutt’oggi) proprio alla minimum fax.

Quel laboratorio fu una rivelazione, Carola è una persona preziosa, una bravissima scrittrice e insegnate che porto sempre fortemente nel cuore. Mi ricordo in particolare una lezione, tenuta mi pare da Nicola La Gioia, durante la quale leggemmo un racconto di Salinger. Quando la lezione finì mi sentivo come se non avessi mai letto nulla, davvero, prima d’allora.

Tutto quello che ho fatto da quel giorno in poi è stato un tentativo di replicare quella sensazione. La sensazione di aver compreso totalmente e fino in fondo un testo.

 

Negli anni successivi e fino ad oggi ho continuato a lavorare nell’editoria, all’inizio senza grande successo. Dopo un altro anno di rimborsi spese miseri e pagamenti sotto banco era chiaro che non c’era la possibilità di essere assunta. Dunque aprii una partita iva, che era l’unico modo possibile per provare a campare dignitosamente di questo mestiere. Iniziai a fare una quantità infinita di piccoli lavori di redazione per piccoli editori e studi editoriali, ancora una volta schede di lettura, correzioni di bozze, impaginazioni, copertinari, schede stampa, ecc. I lavori erano pagati miseramente ma avevo la fortuna di lavorare quasi sempre da casa, con poche spese vive, e nel frattempo arrivarono anche i primi editing e qualche revisione di traduzione. Iniziai anche a scrivere recensioni per diversi blog, con l’unico scopo di ricevere libri gratis dagli uffici stampa. 

 

A un certo punto, avevo forse 25 anni, risposi a un annuncio e iniziai a collaborare per un editore che mi pagava un po’ meglio, che avrebbe dovuto occuparsi di scouting di classici fuori diritti ma che, dopo poco, si infilò nel giro dell’editoria a pagamento. Nello stesso periodo scrivevo per un blog che avrebbe dovuto trasformarsi presto in un lavoro pagato, di soldi ovviamente non ne vidi neanche l’ombra.

Insomma ero a un punto morto. La qualità dei testi che mi capitavano sotto mano era quasi sempre drammaticamente bassa, soldi ce ne erano pochi e soprattutto non c’era la prospettiva di essere assunta in qualche redazione (all’epoca ci tenevo davvero molto a tornare, fisicamente, in casa editrice).

Finché mi capitò di dover lavorare su un testo veramente pessimo, l’autore però mi pareva di buone intenzioni e non senza talento quindi gli telefonai e gli spiegai che, secondo me, il testo non funzionava per questo, quello e quest’altro motivo, che non vedevo dei grossi margini di miglioramento su questo romanzo in particolare ma che la sua scrittura aveva qualche qualità. Sarebbe stato meglio, insomma, non pubblicarlo proprio quel libro, accantonarlo e scriverne un altro. Il giorno dopo mi chiamo l’editore, urlando perché gli avevo fatto perdere il cliente. Quando misi giù il telefono ci eravamo mandati affanculo ed ero di nuovo, di fatto, senza lavoro.

 

Avevo circa 1200-1500 euro da parte che usai per andarmene in Spagna a fare il cammino di Santiago. Non per vocazione religiosa, ma perché mi piace camminare, volevo stare via per un po’, da sola e quello era il viaggio più economico che era riuscita a organizzare. Partii a metà novembre e arrivai Santiago a metà dicembre con in tasca 27 euro e spiccioli. In aeroporto, quando aspettavo il volo per tornare a Roma (non mi erano rimasti neanche i soldi per un panino e avevo scritto a mia madre di presentarsi a Fiumicino con acqua e viveri), mi arrivò l’sms di un collega che lavorava per uno studio editoriale. Mi andava di correggere e impaginare delle riviste universitarie? Certo.

 

Poco dopo a mio marito capitò l’occasione di un contratto vicino Trento, quindi avevo di nuovo il lavoro ma lasciai Roma. Durante i primi anni in Trentino non avevo molto da fare, a parte lavorare, quindi ripresi a seguire corsi di formazione editoriale e corsi di scrittura. Tutto quello che era alla portata delle mie tasche e che mi sembrava utile. 

Negli anni, mi rendo conto, ho frequentato un po’ tutte le scuole di scrittura che ci sono in Italia: quella della minimum fax, la scuola Omero, la Holden e, proprio a quel punto, mi iscrissi a un corso che Giulio Mozzi teneva a Trento.

Durante una pausa pranzo di questo corso, stavamo andando in pizzeria e mi portavo in giro una pancia enorme perché ero incinta del mio primo figlio (qualche anno dopo, incinta della seconda figlia e costantemente pressata tra i vettori del sonno e del vomito, avrei seguito anche la Bottega di Narrazione), Giulio mi disse una cosa del genere “C’è un ragazza che ha più o meno la tua età, è una traduttrice, giovane ma in gamba, ha aperto uno studio editoriale, sentila che magari ne esce fuori qualcosa…”.

La ragazza era Rossella Monaco, che in effetti era davvero giovane ma in gamba, e che ora è la mia più stretta collega e anche una cara amica, e lo studio editoriale era La Matita Rossa, di cui ora sono la responsabile di redazione (che è un modo un po’ altisonante di dire che continuo a fare i miei lavori di redazione ma mi occupo anche di trovare/seguire i clienti e di coordinare con Rossella gli altri colleghi che lavorano per lo studio).

 

Alla fine di questa Odissea un po’ inconcludente, iniziammo a lavorare tanto – con fatica, impegno e qualche caduta – e per buoni editori. 

Il lavoro (incrociando le dita) è cresciuto sempre e ad oggi lavoriamo per Ponte alle Grazie, Rizzoli, Le Monnier, Avagliano, Macro e per diversi altri. 

La Matita Rossa è uno studio editoriale ma anche un’agenzia di scouting. Incontrammo dei bravi scrittori, durante questi corsi di scrittura e, più in generale, facendo il nostro lavoro scouting. Negli anni quindi siamo riuscite, io e Rossella, a far pubblicare diversi autori.

 

Soprattutto, a un certo punto Rossella mi chiese se le volessi dare una mano a seguire alcuni dei suoi ragazzi del corso di scrittura online. Certo, le risposi.

A un certo punto, la libraia di una libreria che frequentavo assiduamente mi chiese se volevo provare a organizzare un corso di scrittura da lei. Certo, le risposi.

 

Insomma, non avevo l’ispirazione di diventare insegnante di scrittura, è capitato e ho scoperto che mi veniva bene, che le persone si divertivano (o ne uscivano fuori terribilmente frustrate), che finivano il laboratorio scrivendo generalmente un po’ meglio (mai nessuno è peggiorato) e che (non ci avrei scommesso due lire) avevano anche il piacere di tornare e iscriversi a più laboratori. 

 

Ho scoperto di avere una serie di abilità che non mi venivano direttamente dalla scrittura (scrivo poche cose mie, con tempi giurassici, e non sono mai considerata una scrittrice ma una che lavora sui libri degli altri) ma che avevo raccolto in modo trasversale: lavorando in molti modi ai libri degli altri, appunto, ma anche leggendo per fare recensioni una quantità enorme di libri che non avrei mai letto per mio piacere, guardando un’infinità di film e serie tv, i cartoni animati che vedevo coi i miei figli, seguendo corsi di scrittura tenuti da altri, revisionando traduzioni, ecc.

Riuscivo a creare delle relazioni tra queste cose, magari a mettere in comunicazione i poemi omerici con gli Urania, Game of Thrones con i Miserabili e così via; insomma a lavorare con materiali narrativi “alti” e “bassi” di diversa provenienza. Tutto questo, in qualche modo, funzionava bene.

 

Negli ultimi sette anni – che non sono molti, ma è già un numero significativo – ho tenuto diversi laboratori di scrittura, ho seguito studenti online, altri in aula, a Roma, Rovereto, Bolzano e un po’ in giro per tutt’Italia. 

Con alcuni di questi studenti ci siamo rivisti dopo mesi, o dopo anni, quando avevo finito di scrivere qualcosa che gli sembrava degno di nota, e spesso ne abbiamo parlato durante colazioni, aperitivi e cene (queste sono state le lezioni, se così si possono chiamare, che mi sono piaciute di più).

 

Mi rendo conto di avere un approccio “tecnico” alla scrittura. Un po’ per la mia professione (devo sempre spiegare, all’inizio dei laboratori, che no, non sono una scrittrice, ma sì, lavoro nell’editoria e sulla scrittura) e un po’ perché sono giunta alla conclusione, almeno per ora, che le tecniche sono l’unica cosa che si può insegnare. Il talento, qualunque cosa sia, se c’è sta già lì. Al massimo lo si può allenare. Se non c’è, è solo sulle tecniche che si può fare affidamento.

 

L’insegnamento della scrittura è, nella mia esperienza, una gigantesca operazione di paleontologia.

Tutti gli studenti arrivano, più o meno consapevolmente, con un’immaginazione da riportare alla luce. L’immaginazione non è qualcosa che si può instillare (voglio smentire almeno questo pregiudizio, i corsi di scrittura creativa non ammazzano la creatività, non escono mai due elaborati uguali dallo stesso corso), tutto quello che si fa è scavarci intorno, riportarla con attenzione alla luce (l’immaginazione è spesso una cosa delicata e fragile, una roccia confusa in mezzo alle altre), raccogliere i pezzi e provare – con varie tecniche, appunto – a ricostruirla nel modo migliore possible.

 

Da un paio d’anni insegno alla scuola di scrittura Le Scimmie di Bolzano, e con la Matita Rossa stiamo lavorando per organizzare i nostri laboratori, in aula e online (quelli che facciamo insieme e quelli che faccio io per separate vie), con maggior criterio e sistematicità. 

Per ora non ci interessa fare una vera e propria scuola di scrittura, l’idea è piuttosto quella di un laboratorio permanente e itinerante di scrittura, ma mi pare il primo grande giro di boa.

 

Mi piacere organizzare dei laboratori sulla scrittura di genere, che è una cosa che mi piace molto (ogni insegnante di scrittura ha le sue fisse: le mie sono il racconto breve e la scrittura di genere). Ci sto provando, ma incontro diverse resistenze. Checché se ne dica è molto più facile comunicare (e vendere) un corso del tipo “Scrivi il tuo romanzo alla Virginia Woolf in sei mesi” piuttosto che “Scrivi il tuo romanzo di fantascienza e poi forse, se sarà bello e se le congiunzioni astrali saranno favorevoli, uscirà su una buona casa editrice di genere”.

Mi piacerebbe anche proporre delle passeggiate letterarie, dei viaggi e delle vacanze per chi vuole scrivere ed esplorare i luoghi con la sensibilità dello scrittore… proverò a concretizzare qualcosa nel 2020.

 

Mi piacerebbe avere un maggiore confronto con gli altri insegnanti di scrittura, capire come lavorano, cosa fanno durante le loro lezioni, cosa leggono con i loro studenti, come hanno iniziato a insegnare scrittura e perché, e così via. 

Mi pare che su questo, purtroppo, ci sia ancora una sospettosa riservatezza e una certa propensione alla concorrenza e al voler portare studenti (e da un certo punto di vista è anche comprensibile) al proprio mulino. 

Si accettano sempre proposte.

 
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