Una delle mie ossessioni è la chiarezza, cioè essere chiaro quando scrivo, far sì che chi mi legga abbia sempre davanti a sé, nitido, ciò che voglio dire e il modo in cui voglio dirlo. Se sto descrivendo delle azioni o dei sentimenti voglio che sia chiaro quello che voglio comunicare, cosicché il lettore possa fare il suo viaggio.
Intervista a Simone Barillari: intorno alla formazione e al mestiere del traduttore
Credo che un buon traduttore dovrebbe saper leggere molto bene nella lingua da cui traduce, sapere scrivere molto bene nella lingua in cui traduce, avere un’ottima cultura generale e possedere tanto orgoglio quanta umiltà. Sì, direi che cinque qualità potrebbero essere queste. Come vedi sono tre qualità tecniche e due morali; tutte di uguale importanza.
Come si diventa insegnanti di scrittura?
L’insegnamento della scrittura è, nella mia esperienza, una gigantesca operazione di paleontologia.
Tutti gli studenti arrivano, più o meno consapevolmente, con un’immaginazione da riportare alla luce. L’immaginazione non è qualcosa che si può instillare (voglio smentire almeno questo pregiudizio, i corsi di scrittura creativa non ammazzano la creatività, non escono mai due elaborati uguali dallo stesso corso), tutto quello che si fa è scavarci intorno, riportarla con attenzione alla luce (l’immaginazione è spesso una cosa delicata e fragile, una roccia confusa in mezzo alle altre), raccogliere i pezzi e provare – con varie tecniche, appunto – a ricostruirla nel modo migliore possible.
"Come si impara a scrivere? Leggendo e andando a tirar fuori cosa è stato fatto fino ad ora". Conversazione con Carola Susani
La prima cosa è che si può insegnare a scrivere sapendo che è un lavoro che si fa insieme. Io non mi sono mai sentita l’autorità che comunica tecniche che ha acquisito altrove, mi sono sempre sentita una coordinatrice di un processo che si fa insieme. Per cui: come si impara a scrivere? Prima di tutto leggendo, non c’è altra soluzione. Leggendo e andando a tirar fuori cosa è stato fatto fino ad ora. Non per ripeterlo uguale, ma intanto per acquisire la grammatica allo stato dell’arte. E l’unico modo è leggere con tecniche di lettura che permettano di tirar fuori tutto quello che c’è nei testi. Farlo insieme è molto utile, perché è vero che io ho più esperienza e ho molto da dire, ma tante volte mi sfuggono delle cose, mi sfuggono delle sfumature. Gli allievi sono in condizione di darmi qualcosa che mi manca, e quindi di dare elementi in più a tutti nell’acquisizione di tecniche.
Urania e la narrativa di genere. Conversazione con Giuseppe Lippi
Viviamo ancora in un mondo in cui l’autore italiano è seguito soltanto da una parte dei lettori, proprio come al cinema i film impegnati. A prescindere da queste considerazioni, gli autori sono tutto intorno a noi, li incontriamo alle convention, fanno parte delle nostre amicizie personali, ne riceviamo manoscritti, file e libri stampati. E poi ci sono i siti internet che meritevolmente li pubblicano, e dove possiamo leggerli.
«Se un romanzo ha bisogno di troppo editing non andrebbe pubblicato», intervista a Vincenzo Ostuni
Quindi se per me un libro andrebbe modificato in misura eccessiva non lo prendo in considerazione, almeno per la collana “Scrittori”. Un conto è se devo pubblicare un memoir, un’autobiografia o un saggio, ma se un romanzo ha bisogno di troppi interventi bisognerebbe proprio astenersi dal pubblicarlo. Non credo in una potenzialità del plot separata dalla compiutezza della scrittura e dello stile. Insomma cerco di intervenire abbastanza poco: questo non significa che le mie proposte agli autori non siano anche capillari, ma l’intervento deve comunque tenersi lieve. Potremmo dire che un buon editing è maieutica di piccolo cabotaggio. Non credo nel grande editor che tira fuori il coniglio dal cilindro di un manoscritto mediocre: se lo fa significa che sta barando, perché in nessun cilindro c’è davvero un coniglio.
«Non prendo appunti. Se un’idea è buona deve resistere al tempo»: intervista a Paolo Zardi
Il punto di inizio è sempre un evento, non è mai un personaggio. Spesso penso “come sarebbe se…” e metto in moto un evento. E sulle mie idee non prendo appunti, una volta lo facevo ma adesso credo che se un’idea è buona deve riuscire a resistere al tempo. Faccio una specie di selezione darwiniana delle idee, tra quelle che spariscono e quelle che hanno la forza di rimanere. Può passare anche tanto tempo: mesi, anni, fino al momento in cui arrivo ad avere una storia. Poi cerco i personaggi più adatti, penso “a chi potrebbe succedere questa cosa?”; e quando sono assolutamente pronto, quando ho tutta la storia in testa e ho trovato la voce giusta per raccontarla approfitto di un viaggio in treno per scriverla.
Una conversazione con Giulio Mozzi sul fare editing, sulla scrittura degli altri, l'ispirazione e il talento
Quindi partiamo dal presupposto che un’idea di cooperazione in una produzione artistica ci sta, ci sono delle forme artistiche in cui la cooperazione è indispensabile e altre in cui può essere assente, come per esempio la narrativa. Ciò non toglie che ci siano grandi artisti che non sono grandi tecnici e viceversa, e questo non è un problema per nessuno perché le opere sono belle comunque. Certo è che se un grande artista si mette a fare delle cose che richiedono una grande perizia, senza averla, rischia di fare cilecca. Non credo che oggi esista una persona che abbia una perizia nella costruzione del verso come ce l’aveva Giovanni Pascoli…