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"Come si impara a scrivere? Leggendo e andando a tirar fuori cosa è stato fatto fino ad ora". Conversazione con Carola Susani

"Come si impara a scrivere? Leggendo e andando a tirar fuori cosa è stato fatto fino ad ora". Conversazione con Carola Susani

La prima cosa è che si può insegnare a scrivere sapendo che è un lavoro che si fa insieme. Io non mi sono mai sentita l’autorità che comunica tecniche che ha acquisito altrove, mi sono sempre sentita una coordinatrice di un processo che si fa insieme. Per cui: come si impara a scrivere? Prima di tutto leggendo, non c’è altra soluzione. Leggendo e andando a tirar fuori cosa è stato fatto fino ad ora. Non per ripeterlo uguale, ma intanto per acquisire la grammatica allo stato dell’arte. E l’unico modo è leggere con tecniche di lettura che permettano di tirar fuori tutto quello che c’è nei testi. Farlo insieme è molto utile, perché è vero che io ho più esperienza e ho molto da dire, ma tante volte mi sfuggono delle cose, mi sfuggono delle sfumature. Gli allievi sono in condizione di darmi qualcosa che mi manca, e quindi di dare elementi in più a tutti nell’acquisizione di tecniche.

Urania e la narrativa di genere. Conversazione con Giuseppe Lippi

Urania e la narrativa di genere. Conversazione con Giuseppe Lippi

Viviamo ancora in un mondo in cui l’autore italiano è seguito soltanto da una parte dei lettori, proprio come al cinema i film impegnati. A prescindere da queste considerazioni, gli autori sono tutto intorno a noi, li incontriamo alle convention, fanno parte delle nostre amicizie personali, ne riceviamo manoscritti, file e libri stampati. E poi ci sono i siti internet che meritevolmente li pubblicano, e dove possiamo leggerli. 

«Se un romanzo ha bisogno di troppo editing non andrebbe pubblicato», intervista a Vincenzo Ostuni

«Se un romanzo ha bisogno di troppo editing non andrebbe pubblicato», intervista a Vincenzo Ostuni

Quindi se per me un libro andrebbe modificato in misura eccessiva non lo prendo in considerazione, almeno per la collana “Scrittori”. Un conto è se devo pubblicare un memoir, un’autobiografia o un saggio, ma se un romanzo ha bisogno di troppi interventi bisognerebbe proprio astenersi dal pubblicarlo. Non credo in una potenzialità del plot separata dalla  compiutezza della scrittura e dello stile. Insomma cerco di intervenire abbastanza poco: questo non significa che le mie proposte agli autori non siano anche capillari, ma l’intervento deve comunque tenersi lieve. Potremmo dire che un buon editing è maieutica di piccolo cabotaggio. Non credo nel grande editor che tira fuori il coniglio dal cilindro di un manoscritto mediocre: se lo fa significa che sta barando, perché in nessun cilindro c’è davvero un coniglio.

«Non prendo appunti. Se un’idea è buona deve resistere al tempo»: intervista a Paolo Zardi

«Non prendo appunti. Se un’idea è buona deve resistere al tempo»: intervista a Paolo Zardi

Il punto di inizio è sempre un evento, non è mai un personaggio. Spesso penso “come sarebbe se…” e metto in moto un evento. E sulle mie idee non prendo appunti, una volta lo facevo ma adesso credo che se un’idea è buona deve riuscire a resistere al tempo. Faccio una specie di selezione darwiniana delle idee, tra quelle che spariscono e quelle che hanno la forza di rimanere. Può passare anche tanto tempo: mesi, anni, fino al momento in cui arrivo ad avere una storia. Poi cerco i personaggi più adatti, penso “a chi potrebbe succedere questa cosa?”; e quando sono assolutamente pronto, quando ho tutta la storia in testa e ho trovato la voce giusta per raccontarla approfitto di un viaggio in treno per scriverla.

Una conversazione con Giulio Mozzi sul fare editing, sulla scrittura degli altri, l'ispirazione e il talento

Una conversazione con Giulio Mozzi sul fare editing, sulla scrittura degli altri, l'ispirazione e il talento

Quindi partiamo dal presupposto che un’idea di cooperazione in una produzione artistica ci sta, ci sono delle forme artistiche in cui la cooperazione è indispensabile e altre in cui può essere assente, come per esempio la narrativa. Ciò non toglie che ci siano grandi artisti che non sono grandi tecnici e viceversa, e questo non è un problema per nessuno perché le opere sono belle comunque. Certo è che se un grande artista si mette a fare delle cose che richiedono una grande perizia, senza averla, rischia di fare cilecca. Non credo che oggi esista una persona che abbia una perizia nella costruzione del verso come ce l’aveva Giovanni Pascoli…

Intervista a Claudio Morandini: scrivere è ostinazione e disponibilità a mettersi in discussione

Intervista a Claudio Morandini: scrivere è ostinazione e disponibilità a mettersi in discussione

Il mio è stato per lo più un apprendistato solitario. Anche qui, si è trattato di impadronirsi di una tecnica, e di costruirsi una voce. Non ci sono ricette per questo, temo: contano per lo più l’ostinazione, la disponibilità a mettersi in discussione fin nelle virgole e una buona biblioteca. Mi sono allontanato da certi vezzi che non mi avrebbero portato da nessuna parte – una certa propensione alla parodia e al pastiche, per esempio, un mescolare un po’ meccanico cliché di generi e sottogeneri, una certa indulgenza stilistica all’eccesso baroccheggiante, una dipendenza eccessiva da atmosfere e situazioni cinematografiche… Ho scritto tanto, e con gusto, però appunto si è trattato di esercizi, da cui avrei in seguito tratto qualcosina da infilare nei romanzi successivi, ma che sono rimasti dov’era giusto che rimanessero.

Intervista a Eraldo Baldini: il gotico rurale e altre storie

Intervista a Eraldo Baldini: il gotico rurale e altre storie

A me, come ti dicevo, piace molto questa tua capacità di attingere al mondo rurale e di periferia per costruire storie. Non hai scritto solo horror… ma in generale la narrativa italiana non parla di storie di provincia… o almeno non si è mai costruito un immaginario rurale forte, penso anche a Stephen King e al Maine…
Mah, nel mondo anglosassone c’è sempre stata un’attenzione al mondo rurale e alle piccole comunità, sia attraverso la narrativa maggiore, penso a Steinbeck, sia a una narrativa di genere partita già nell’Ottocento e proseguita nel Novecento, penso a Conan Doyle, ad Arthur Machen, ad Ambrose Bierce, a Shirley Jackson, a Thomas Tryon, a Ray Bradbury, a Dan Simmons e a molti altri, fino ad arrivare appunto a Stephen King.
Nella narrativa anglosassone esiste questa tradizione, in quella italiana no, o in scarsa misura. Aveva ragione Oreste del Buono quando qualche decennio fa sulla Stampa scriveva stupendosi di questa cosa. Scriveva che la popolazione italiana, con un background di storie e di folklore così ricco, di culture popolari così interessanti, chissà perché non aveva partorito autori che partissero proprio da quel background per fare narrativa.

Intervista a Giusi Marchetta: le radici della scrittura (e della lettura)

Intervista a Giusi Marchetta: le radici della scrittura (e della lettura)

Tu scrivi racconti – che è una cosa molto diversa dallo scrivere romanzi, anche se di romanzi ne hai scritto uno – e quindi perché per te funziona meglio il racconto del romanzo?

Io lo preferisco anche da lettrice. Un racconto ben fatto per me è un capolavoro, una cosa che ti porti dietro, è una piccola esplosione. Da scrittrice però, credo di preferirlo anche per una questione di ansia. Di solito inizio a scrivere dalla fine: so già dove voglio arrivare e so che costruirò tutto quello che c’è prima in modo che la conclusione sia il più efficace possibile.